28 agosto 2012
CORRIERE DELLA SERA
EDITORIALI E COMMENTI
I RISCHI CHE CORRE LA DEMOCRAZIA
Il crepaccio invisibile
È accaduto già una volta nella storia italiana che il sistema democratico si sia puramente e semplicemente
suicidato. L’avvento al potere di Mussolini non fu infatti il risultato della forza militare delle camicie nere
bensì, appunto, degli errori e delle incapacità di tutti gli altri attori politici.
Oggi stiamo di nuovo scherzando
col fuoco, poiché la riforma della legge elettorale che si va preparando rischia di spianare la strada a un
secondo caso di suicidio della democrazia nel nostro Paese, o a qualcosa di molto simile. È vero che in tutto
il mondo la democrazia rappresentativa sta subendo uno svuotamento sostanziale, come risultato del peso
sempre maggiore dei mercati e delle istituzioni sovranazionali; ma proprio per questo diventa ancora più
essenziale, come ha scritto Michele Ainis (Corriere, 25 agosto), riannodare il filo spezzato con gli elettori,
cioè garantire loro il potere di scegliere i propri rappresentanti e quale sarà il governo che guiderà il Paese
(anche se poi questo governo dovrà tener conto più dello spread che della volontà popolare).
Ebbene, entrambe queste cose — la scelta dei rappresentanti e la scelta del governo — sembrano
fortemente compromesse dalla legge sulla quale i partiti della maggioranza stanno cercando un accordo.
Non solo il premio del 10 o 15% al maggiore partito non garantisce la governabilità , ma l’intero meccanismo
previsto sembra fatto apposta per determinare una frammentazione politica che affiderebbe la formazione
di una maggioranza alle trattative tra i partiti solo dopo il voto.
Quanto alla scelta da parte dell’elettore dei propri rappresentanti, si ipotizza la parziale reintroduzione
delle preferenze, che rischia piuttosto di riportarci al mercanteggiamento dei voti che caratterizzava le
competizioni elettorali della Prima Repubblica. Soprattutto, un terzo o la metà dei seggi sarebbero
assegnati attraverso liste bloccate, che riprodurrebbero così la principale anomalia (e sconcezza) del
sistema attuale, che ha fatto parlare di un Parlamento non di eletti ma di «nominati» (dai vertici dei partiti).
Tali «listini» di partito sono stati giustificati dall’onorevole Cicchitto con la necessità di assicurare l’entrata
in Parlamento di «una serie di parlamentari di alto livello » che altrimenti rischierebbero di non entrarvi.
Quanto a dire che il principio della sovranità popolare dovrebbe essere corretto alla luce di una sorta di
diritto a essere rieletti dei politici «di alto livello» (e verrebbe allora da chiedersi quanto «alto» debba
essere questo livello, cioè quanti siano i candidati che possono contare sulla rielezione assicurata).
Una proposta del genere riflette quella tendenza della classe politica a bloccare ogni ricambio che Gaetano
Mosca definì come «aristocratica »; una tendenza forse condivisa anche fuori del Pdl, a giudicare dalle
polemiche generazionali che agitano il Pd. Ammesso (e, ci permettiamo di aggiungere, non concesso) che
un tale diritto dei politici di «alto livello» a essere rieletti abbia qualche fondamento, come si fa però a non
comprendere che oggi una proposta simile equivale ad alimentare la peggiore demagogia antipolitica? Così,
se giungerà in porto, la nuova legge elettorale farà sopravvivere (almeno per il momento) l’attuale ceto
politico, ma al prezzo di un ulteriore e preoccupante svuotamento delle istituzioni democratiche.
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Giovanni Belardelli
28 agosto 2012