Non c’è verso. Da qualunque parte lo si guardi, lo scollamento tra i parlamentari e la gente che vive nel mondo reale si fa sempre più ampio e preoccupante.
Il danno prodotto da questa legge elettorale (il Porcellum) è immenso, più devastante dello tsunami del Giappone.
Tra anni se ne valuteranno a freddo i nefasti effetti, con lo sguardo degli storici.
Ma è ora che gli italiani, indipendentemente dal partito che preferiscono, prendano coscienza della vastità delle sue conseguenze nella vita di ciascuno, conseguenze drammatiche provocate da un colpo di mano di pochi che si sono artatamente sottratti alla valutazione di merito del popolo sovrano.
Una devastazione morale, un preoccupante assopimento collettivo delle coscienze, l’assenza di una significativa ribellione civica – almeno fino a quando la rabbia non raggiungerà la temperatura di ebollizione - consentono ancora ad un manipolo di persone di accedere ad uno sfacciato Eldorado di prebende e privilegi, una sorta di Versailles all’italiana, in barba ad ogni regola ed alle prerogative di una democrazia matura.
Il filo di connessione tra elettore ed eletto si è irrimediabilmente spezzato. Non si tratta nemmeno più di un eletto, perché la sua legittimazione non viene dal fatto di essere stato riconosciuto dal popolo come proprio rappresentante, sostenuto e indicato con scelta consapevole di preferenza rispetto ad altri, ma semplicemente calato dall’alto a usufruire di una predeterminata distribuzione dei voti sul territorio.
Il candidato prescelto non possiede nessuna forza contrattuale nei confronti di chi lo sceglie, ovvero le oligarchie di partito. Quella che gli sarebbe conferita da un considerevole sostegno popolare diretto, non esiste più. Né lui è tenuto a coltivarla, semplicemente perché non gli serve affatto. Quello che gli serve, per garantirsi la nomina a parlamentare e l’accesso all’Eldorado, è ingraziarsi i potenti del partito, diventare affidabile per quella ristretta cerchia di capicorrente o capi partito che, tirando le fila del gioco, devono solo preoccuparsi di poter continuare a farlo.
Le istanze del territorio, il rapporto con la gente normale, le richieste provenienti dalla base diventano una recita utile solo a far intendere che esista ancora un rapporto diretto.
L’elettore invece è completamente afono, sia esso un pensionato, un imprenditore, un giovane disoccupato o un militante di partito. Subisce scelte che influenzano drammaticamente la sua vita e quella dei propri figli, e osserva impotente e schiumante di rabbia gli abitanti della reggia completamente isolati dal mondo civile, incuranti e persino infastiditi del fatto che i loro assurdi e anacronistici privilegi gli vengano rinfacciati.
Non si spiegano altrimenti le incomprensibili resistenze alla immediata modifica della legge elettorale, continuamente rimandata e inspiegabilmente ‘necessariamente’ associata ad una revisione costituzionale il cui disegno e i cui tempi di realizzazione sono al di fuori di ogni orizzonte temporale accettabile.
Certo, in un Paese normale si potrebbe ragionevolmente pensare che una buona legge elettorale sia realizzabile una volta definito l’assetto costituzionale. Ma questo non è un Paese normale. Non è neanche un Paese serio. Sono quarant’anni che si parla inutilmente di riforme istituzionali, senza modificare nulla.
A noi serve una legge elettorale subito. Una legge che faccia due cose: garantisca la governabilità per cinque anni, e faccia scegliere i parlamentari al popolo, e soltanto al popolo.
Né si spiegano altrimenti le ridicole proposte avanzate dal governo in tema di riduzione del finanziamento pubblico ai partiti. Mentre ai cittadini dall’oggi al domani si richiedono sacrifici pesanti come l’aumento dell’età pensionabile, l’ imu e, se va male, il prossimo aumento dell’iva, il sistema politico finge di autoridursi le entrate in quattro anni, introducendo contemporaneamente sistemi di compensazione che alla fine potrebbero costarci anche di più del sistema attuale, e arrivando alla beffa di ipotizzare di spartirsi il due per mille sulla dichiarazione dei redditi anche in assenza di indicazioni del dichiarante.
E’ davvero ipotizzabile pensare che parlamentari eletti in questo modo e adagiati in questa dorata bambagia siano poi quelli che votino un sistema elettorale che ne metta a rischio la possibilità di goderne all’infinito? E’ la speranza dei poveri.
E’ evidente che le attuali leadership, di tutti i partiti, non cambieranno né il loro modo di pensare, né il sistema che li garantisce.
Non restano quindi che due modi per dare attuazione alle speranze di cambiamento: la rabbia o la partecipazione.
Mentre negli altri partiti non esiste una dialettica democratica, il PD garantisce un dibattito e i necessari processi di trasmissione delle volontà dal basso verso l’alto.
La fase congressuale è già iniziata, e la partecipazione degli iscritti alle assemblee e agli incontri è numerosa e consolante, sia a Piacenza che a Milano, le due città dove vivo.
I militanti e gli iscritti sentono ancora il Partito Democratico come il loro partito, e anche se non ne riconoscono più le leadership, si ritrovano e discutono, raccolgono idee e fissano i punti di riferimento imprescindibili per la ricostruzione dello stesso, riannodando quei fili che porteranno al congresso nuove idee e nuove persone, per riaffrontare le sfide del paese con coraggio e fiducia.
Giorgio Alessandrini, 19 giugno2013