Non mi interesso di politica per ambizione. Se da giovane poteva allettarmi, a sessantacinque anni il mio tempo è troppo prezioso per immaginare di perderlo in estenuanti ed inconcludenti sedute parlamentari in cui si recita la propria parte in una grottesca parodia di democrazia, mentre le vere decisioni vengono prese altrove. Me ne interesso perché, come tutti, faccio parte della società italiana, a sua volta inserita in quella europea, a sua volta inserita nel mondo occidentale industrializzato che ha comuni matrici identitarie, politiche, culturali, civili e anche religiose. Ne seguo l’evoluzione nei decenni, le fortune e le traversie, i riflessi sulla qualità delle vite dei singoli e delle moltitudini.
Ho già scritto in altri interventi che più di quarant’anni di neoliberismo individualista hanno disgregato e depotenziato la capacità di pressione delle masse, e che solo la consapevolezza di fare invece parte di una società consentirà ad ognuno di esercitare la forza necessaria a migliorare la condizione di tutti, compresa la propria.
Perché, dunque, una riforma fiscale? Perché i sistemi economici non sono verità divine immutabili nei princìpi e nell’attuazione. Come ogni attività umana, sono soggetti ad una valutazione di efficacia, intesa come capacità di soddisfare necessità e bisogni, se non della totalità, almeno della stragrande maggioranza degli individui che
concorrono al loro funzionamento.
Se è vero che la storia ha decretato il fallimento dei sistemi politico-economici collettivistici, è anche vero che il sistema finanziario e capitalistico globalizzato non produce affatto il benessere per tutti, ed anzi accentua ed ingigantisce il divario nella distribuzione delle ricchezze, tanto da renderne precario l’equilibrio sostenibile.
Non essendoci un sistema alternativo, sorge quindi la necessità di coniugare esigenze contrapposte: quella di preservare la capacità e lo stimolo a produrre ricchezza, e quella di rendere tale ricchezza fruibile dal maggior numero possibile di persone.
Dobbiamo dare per scontato che in un’economia liberista non esisterà mai un equilibrio stabile tra queste diverse esigenze. Se la si saprà governare, assecondando o contrastando i cicli economici favorevoli e non, esisterà invece una costante oscillazione tra accentramento e redistribuzione delle ricchezze prodotte.
E sarà proprio questa oscillazione a costituire la linfa vitale di un sistema che, se ingessato nell’individualismo e nel mantenimento di privilegi di posizione, finisce per paralizzarsi e diventare asfittico.
La riforma fiscale serve esattamente a questo. A correggere le distorsioni del sistema che portano all’accumulo spropositato nelle mani di pochissimi. Ma anche, attraverso la redistribuzione, a garantire maggiore circolazione monetaria tra le masse, favorendo il consumo, e quindi la produzione, e di conseguenza il lavoro e l’occupazione.
Serve inoltre a riaffermare alcuni capisaldi del vivere civile: certezza del prelievo e conseguente azzeramento dell’evasione, parità di tassazione a parità di reddito comunque prodotto, equilibrio tra imposizione sul reddito e sul patrimonio, volatilità ed evanescenza graduale delle immense rendite ereditarie.
Dal 2011 faccio parte del Partito Democratico. In tutti questi anni non ho mai sentito un segretario spiegare chiaramente, partendo da queste poche regole di base dell’economia, cosa intende fare per correggere la situazione in cui stiamo vivendo da decenni. Eppure un leader dovrebbe sapere che per radunare e muovere le masse si devono indicare la meta e la direzione.
Sostengo da anni che questo tema sia essenziale alla stessa definizione di cosa si intende per Partito Democratico, per centro-sinistra, per progressismo, per socialdemocrazia, per economia liberale, per giustizia ed equità.
Su questo argomento negli ultimi due secoli c’è stata una sconfinata letteratura, che spazia dalla filosofia all’economia, passando anche per la sociologia e la psicologia. Smith, Fourier, Proudhon, Marx, Keynes, Rawls, Von Hayek, Turati, Einaudi, Rosselli, per citarne pochissimi. Fior di pensatori hanno cercato sintesi, elaborato teorie, individuato priorità e criticità.
Mi sorprende che nei circoli ci sia così poca disponibilità ad analizzare il problema del futuro delle masse, da cui discendono tutti gli altri, compresi i diritti di nicchia che sembriamo difendere con convinzione ma con scarsi risultati.
Mi deprime che la maggior parte dei parlamentari probabilmente non sappia neanche chi sono molti degli autori citati, e quindi non sia in grado di dibatterne gli enunciati ed influire sulla realtà esistente.
Questo progetto di riforma fiscale ha lo scopo di ridare liquidità economica alla parte più numerosa della società, i ceti popolari e medi; eliminare inspiegabili trattamenti di favore tra contribuenti; recuperare gettito dall’elusione e dalla evasione; ridurre le spropositate rendite ereditarie.
Vuole stimolare i consumi attraverso la detraibilità delle spese tracciabili.
Come sempre, lo propongo e metto a disposizione della segretaria del PD.
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Giorgio Alessandrini - Piacenza, 6 febbraio 2025