L’argomento dei costi della politica è all’ordine del giorno. Tutti concordano sulla necessità di ridurli, ma alcune motivazioni devono essere sottolineate, perché avranno conseguenze importanti sulle decisioni future.
A parte i diretti interessati, non credo che ci sia una persona in questo Paese che non consideri la situazione attuale uno scandalo. Sembra la rappresentazione perfetta della famosa frase della fattoria degli animali di Orwell: “tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.
Per quanto la classe politica non sembri rendersene conto, o cerchi di far passare sotto silenzio questo aspetto, credo sia importante sottolineare che le uniche persone alle quali daremo ascolto, quando ci chiederanno uno sforzo per risanare e riformare l’Italia, saranno quelle disposte a rinunciare a qualsiasi vantaggio derivante dal loro stato, già acquisito o da acquisire.
Non si tratta solo del desiderio di veder placato il risentimento verso coloro che godono di privilegi iniqui ed assurdi, desiderio che pur avendo una sua legittimità si presta alla facile classificazione di qualunquismo e di antipolitica.
E’ in gioco il risultato in sé stesso: il risanamento finanziario del Paese. E’ impensabile, e sarebbe un grave errore politico, ritenere di poterlo raggiungere “spremendo i sudditi” come nella Francia di Luigi XVI, perché questo alimenterebbe il rancore e il sospetto di tutti contro tutti, e potrebbe alla lunga scatenare esasperazioni e tensioni tali da rendere vano lo sforzo.
Si potrà realizzare un risultato positivo e duraturo solo con la partecipazione attiva e convinta di una comunità unita e consapevole, che possa affidarsi alle persone che essa stessa ha scelto per affrontare la tempesta. Affinché queste persone possano guidare questo immane sforzo collettivo con credibilità, è indispensabile che esse chiariscano e mettano in pratica che i disagi e i sacrifici inizieranno dai loro attuali benefici.
Abbiamo avuto esempi positivi come quello della Regione Emilia-Romagna, che ha approvato tagli di rimborsi da subito, e dei vitalizi ai consiglieri per il futuro. E’ un conforto sapere che è stata la nostra regione ad iniziare, ma che trascinante potenza avrebbe avuto il gesto di rinunciare da subito, e per sé stessi! Comunque, anche se ancora insufficienti, speriamo che tali misure si propaghino al più presto.
E dato che le critiche hanno valore se accompagnate da qualche proposta, aggiungo qualche spunto di riflessione, riaffermando in primo luogo un principio di base:
- E’ inopportuno che i parlamentari decidano e approvino gli emolumenti per sé stessi. L’ esperienza ha ormai ampiamente dimostrato che se al bimbo lasciamo il vasetto in mano, la nutella la mangia tutta. E’ il momento di stabilire per legge che le retribuzioni complessive dei parlamentari italiani non possano divergere dalla media delle retribuzioni dei loro colleghi dei paesi appartenenti all’Unione europea, e che le eventuali variazioni devono avere l’assenso di organi istituzionali diversi dai soli diretti interessati.
- Bisognerebbe far sì che una parte della retribuzione venisse erogata direttamente al parlamentare dalla camera di appartenenza, e l’altra parte tramite il partito che lo ha fatto eleggere, da tagliare nel caso in cui lo stesso abbandoni il gruppo attraverso il quale è stato eletto. Sarebbe salvo il principio della libertà individuale di ogni singolo parlamentare, e i cittadini sarebbero in grado di “apprezzare” più adeguatamente gli squallidi cambi di casacca a cui assistiamo, perché almeno fatti perdendo una parte della retribuzione, e quindi animati, forse, più da convinzione che da convenienza.
- Durante la permanenza in carica, gli altri redditi del parlamentare non dovrebbero oltrepassare una percentuale del 15-20% della retribuzione percepita come deputato o senatore. Sono stati eletti per fare i parlamentari, non per cumulare redditi a spese della collettività. Se sono in grado di guadagnare di più e ci tengono, non sono obbligati a farsi eleggere. Se invece sono animati da sincera passione civile e politica, non sarà una pena rinunciare per qualche anno a lussi ed agi aggiuntivi.
- Nessuno nega che al parlamentare debba essere riconosciuta la computabilità degli anni di carica ai fini della pensione ma, come per tutti, a partire dal 65° anno di età, e sulla base dei contributi effettivamente versati. Se uno ha fatto il parlamentare da giovane, alla scadenza del mandato si deve trovare un lavoro o riprendere quello che aveva, fino all’età della pensione.
- Il numero dei parlamentari deve essere dimezzato. Essendo tale numero stabilito dagli articoli 56 e 57 della Costituzione, l’iter per tale modifica deve essere separato da quello relativo ai punti precedenti, per evitare che i tempi lunghi previsti per le modifiche costituzionali costituiscano un pretesto per non fare tutto il resto.
Resta il mare gigantesco degli interventi sul territorio: l’abbassamento dei rimborsi elettorali ai partiti a livelli accettabili e comparabili con quelli degli altri paesi, l’ abolizione delle province, la riduzione del numero dei consiglieri comunali, i tetti massimi ai gettoni di presenza in funzione della dimensione dei comuni e del numero degli abitanti, e altro.
Sappiamo tutti bene che non si risanerà il bilancio dello Stato con questi interventi, ma questo non toglie che la credibilità per chiederci sacrifici debba partire proprio da qui, per procedere poi alla riduzione drastica della spesa corrente. La scala di priorità non è data solo dall’importo risparmiato, ma soprattutto dal significato politico, oltre che etico e morale, della decisione.
Questo Paese è già pronto per affrontare l’inevitabile, e sa che deve farlo per ridare dignità e speranza a sé stesso e alle nuove generazioni. Non disperdiamo le potenzialità di riuscita con visioni ristrette.
____________________________________
Giorgio Alessandrini, 13 luglio 2011