Il Partito Democratico si interroga in silenzio, consapevole di essere di fronte a un bivio. L’immagine che finora ha diffuso di sé, o che i media hanno diffuso di lui (ma è lo stesso, perché il vertice dovrebbe aspettarselo) è ancora quella delle dispute interne. Anzi, la sconfitta sembra acuirle. Peccato, perché facendo campagna elettorale nelle piazze è apparso evidente quanto la pubblica e continua litigiosità abbia leso la credibilità dell’azione.
Eppure un’analisi va fatta, perché la batosta è grave ed è l’ultima di una ormai lunga serie. Uomini di pensiero, perlopiù estranei alle lotte interne, hanno offerto il loro punto di vista: Goffredo Bettini su Huffington Post e Fabrizio Barca sull’Espresso. L’assemblea nazionale dovrà almeno iniziarla. Non potrà limitarsi a scegliere un nuovo segretario, o a discutere del ruolo dei parlamentari nella prossima legislatura. Altrimenti consoliderà l’impressione di tatticismo di una ristretta élite completamente scollegata dalla realtà quotidiana, sociale ed economica del paese. Quindi, in definitiva, concentrata su sé stessa e marginale.
Rispetto alla disastrosa situazione finanziaria lasciata dal centrodestra nel 2011, corretta con misure rigide dal governo Monti, nel 2018 i governi a maggioranza PD lasciano un quadro economico generale molto migliorato anche se non completamente risanato. Gli interventi effettuati hanno riavviato una flebile ripresa produttiva che va consolidandosi, nonché un’inversione del tasso di disoccupazione.
Il percorso intrapreso però non sembra aver favorito la riduzione delle disuguaglianze, né aver migliorato le condizioni e la precarietà del lavoro. Pur con qualche beneficio in sussidi e sostegno al reddito, molte categorie sociali non si sono sentite sufficientemente protette dall’azione di governo. Per contro, altre sono andate sempre più arricchendosi sfociando in quell’area vasta dell’individualismo, che considera il peso fiscale un macigno individuale insopportabile e di cui liberarsi al più presto.
Se possiamo trarre un insegnamento da questa sconfitta, come da quella alle comunali e dalla impressionante astensione alle regionali, a me sembra questo: un’asettica politica delle cose concrete da fare non risulta efficace, se esse non volgono tutte verso un unico orizzonte, verso una strada definita e tracciata da percorrere con un popolo, per quanto erta e difficile possa essere. L’azione di governo non può risolversi in una serie di interventi percepiti come isolati. Deve essere un’azione progressiva che risulti parte di un disegno complessivo della società e della comunità . Uno svolgersi di atti e deliberazioni identificabili come tasselli di un mosaico più grande, costruito non solo dai governanti ma dai comportamenti individuali di ognuno, che porti al risultato di una società più giusta, equa ed umana. Nel proprio comune, nel paese, in Europa.
E questa visione può fornirla solo un partito. È il partito che deve indicare i nuovi obiettivi, disegnare una nuova società e ad essa orientare i suoi moventi e i suoi fini, dato che è su questa missione che si fonda il consenso ed è in forza di essa che la gente si muove, partecipa, alza i vessilli.
Certo, viviamo in un mondo diverso e più complicato. La politica di strada non esiste più. Quella dei comizi, della gente che si incontra e discute guardandosi in faccia, che si ritrova, crea coesione e forza di gruppo. Che individua tra di sé i suoi capi e li manda a rappresentarli ai livelli superiori, in fabbrica come nelle istituzioni. Oggi guardando i talk-show o scrivendo sui social sembra a tutti di partecipare, ma in realtà manca la vera capacità di unirsi, riconoscere le difficoltà comuni e fare gruppo, trovare un obiettivo e far pesare il numero come forza.
Se il Partito Democratico saprà avviare questa riflessione profonda sulla sua identità e sulle ragioni dello stare insieme, sicuramente saprà offrire una nuova e motivante alternativa al popolo italiano e anche alla sinistra europea, dato che ormai il problema è sovranazionale e riguarda la crisi in cui versa l’Europa intera. Altrimenti si condannerà ad una posizione subalterna.
Sicuramente un’analisi siffatta potrebbe mettere in discussione i meccanismi di funzionamento del partito, e persino l’intero gruppo dirigente. Se non altro in virtù del fatto che, una volta effettuata, porrebbe il problema del perché non sia stata fatta prima. E se tale analisi dovesse comportare decisi cambi di rotta, la critica potrebbe andare a chi non ne aveva avuto premonizione e visione.
Non ci sono alternative. Lo richiede un popolo europeo sfibrato e intimorito dal futuro, che alla mancanza di una meta reagisce scartando di lato e offrendo la sua rabbia a soluzioni facili quanto improbabili. Lo richiede la storia, che dovrebbe averci insegnato fin dall’antica Grecia che la democrazia e la libertà vanno accudite e coltivate, ché ci vuole un attimo a perderle.
È tempo di riflettere e anche di farlo presto.
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Giorgio Alessandrini, 18 aprile 2018