Osserviamo il nostro mondo e restiamo sgomenti. Un’onda torbida di protesta e rabbia attraversa la società. Le persone si sentono abbandonate a sé stesse e rispondono ringhiando incattivite.
Viene spontaneo chiedersi dove sia finito il senso di comunità e quali siano le ragioni dello stare insieme. Vorremmo rileggere il patto sociale che ci unisce, e non scoprire che non c’è più nessun patto.
Ci chiediamo dove siano la vicinanza e la compassione, la giustizia e l’equità, il rispetto e la condivisione. Se possiamo incontrarci e sorriderci ancora, oppure dobbiamo guardarci come competitori in una terra di tutti contro tutti. E dove e da chi vengano prese le decisioni che influenzano così pesantemente le nostre vite, rendendo tutto così difficile e rubandoci il futuro e la serenità del vivere.
Infine, che senso abbia un sistema economico consumistico in cui la maggior parte delle masse vive in condizioni di crescente incertezza e precarietà, mentre una sparuta minoranza si arricchisce smodatamente.
È una società di chi? È una società per noi?
Il Partito Democratico perde credibilità con lotte intestine
La politica sembra inerte e incapace di trovare risposte. La classe dirigente del Partito Democratico dimostra ormai quotidianamente di non aver capito il senso profondo delle domande di un paese che ha smarrito la sua meta.
Brucia la sua credibilità - e quella di tutto il partito - perdendosi in lotte intestine su chi sarà il segretario, senza rendersi conto che il suo elettorato non l’ascolta più, avendo da tempo compreso il distacco tra la miseria di una lotta politica finalizzata alle carriere individuali e le grandi incognite e preoccupazioni in cui la globalizzazione e la grande crisi del 2008 hanno gettato i ceti medi e medio-bassi dell’occidente industrializzato.
Il mondo occidentale, profondamente segnato dai totalitarismi del Novecento e portatore di saldi valori di libertà ed emancipazione individuale, ridefinì dopo la guerra il rapporto tra Stato e individuo e rifiorì dal disastro bellico attraverso un nuovo senso di comunità e un sistema economico che appariva in grado di creare ricchezza per tutti.
Le distorsioni del sistema venivano temperate sia dalla progressiva creazione di un welfare e di uno stato sociale che diffondeva il nuovo benessere verso tutta la popolazione, sia dalla lotta politica e dalle coscienze collettive di classe.
Un capitalismo asettico e spietatoQuel processo di crescita, pur con luci ed ombre, consentì un generale miglioramento della qualità della vita, ma ebbe una svolta gravida di conseguenze nel 1989 con la caduta del muro di Berlino ed il crollo dei regimi comunisti.
A quel punto, con il prepotente ingresso delle nuove tecnologie informatiche e della rete, un capitalismo più asettico e spietato iniziò a dilagare incontrastato, favorito anche da scelte politiche dissennate e miopi.
I nuovi strumenti finanziari (titoli, futures, derivati) consentirono le bolle speculative e gli arricchimenti improvvisi e smodati. Divenne più facile fare rapidamente denaro col denaro che non attraverso la produzione e la vendita di beni sul mercato.
Internet permise l’accesso in tempo reale a tutte le borse mondiali. I capitali non erano più legati a un territorio. Si spostavano con la velocità di un clic del mouse. Gli investimenti rincorrevano le aree dove avrebbero minimizzato il costo del lavoro e lucrato il maggior profitto.
La globalizzazione ha avuto l’effetto benefico di sollevare dall’indigenza e dall’estrema povertà intere aree del pianeta che apparivano senza speranza (ricordiamo il Brasile, l’India, la Cina, il sud-est asiatico).
Essa ha però scardinato le fondamenta del mondo occidentale fin qui costruito.
Ha reso in poco tempo obsolete e fuori mercato conquiste sociali e di lavoro costate anni di lotte e sacrifici. Ha messo in competizione lavoratori di un mondo ad alta qualità di vita con altri che non hanno mai avuto nulla, e sono ben contenti del poco che ricevono.
Chi vive nella vecchia Europa all’improvviso si scopre fragile e indifeso di fronte al futuro.
Le grandi impalcature sociali e civili costruite a tutela di tutti si rivelano costose e friabili, e la coscienza della loro utilità sempre più flebile nei pensieri di chi ormai pensa solo a salvare sé stesso e la propria discendenza, con l’animo di chi ammassa provviste e guarda gli altri come una potenziale minaccia.
Un grave allargamento delle disuguaglianzeAumentano gli squilibri nel processo di accumulazione dei patrimoni, creando un grave allargamento delle disuguaglianze. Le concentrazioni di capitali che si autoalimentano iniziano a diventare incompatibili con i valori meritocratici e i principi di giustizia sociale su cui dovrebbero fondarsi le società democratiche.
Percepite come frutto di ingiustificati ed anacronistici privilegi, provocano un sentimento di rabbia e ribellione generale.
Nel nostro paese le famiglie si stanno impoverendo. Diventa sempre più difficile mantenere il passo con i paesi più avanzati. La gente avverte che sono a rischio di cedimento strutture fondamentali; che potremmo non riuscire a rifinanziare il debito pubblico, né a governare il crescente divario economico.
Sente come sempre più insopportabile l’attuale ordine del potere e un capitalismo finanziario che schiaccia
l’individuo, riducendone il valore alla sola misura del denaro di cui dispone.
La politica, ancora organizzata a livello nazionale, si mostra del tutto inadeguata a comprendere e quindi a contrastare un nuovo ordine economico e finanziario sovranazionale le cui fila vengono tenute da una nuova plutocrazia mondiale che si pone al di sopra delle società e non risponde a nessuno del proprio operato.
Accapigliandosi solo per volgari logiche di potere, essa effettua una dichiarazione di impotenza e di resa. È come se ci dicesse espressamente che non è in grado di trovare una soluzione ad un problema che oggi sentiamo tutti con ansia e preoccupazione, e che non riesce neanche ad affrontarlo e parlarne.
La politica non può abdicare al compito di capire in che direzione va il mondo e di offrire alle popolazioni una meta da inseguire per tutti.
Ed è chiaro che non potrà affrontarlo attraverso il battibecco volgare quotidiano che finirà per travolgerla. Dovrà recuperare dignità e autorevolezza, per affrontare un tema che riguarda italiani ed europei e che potrà essere risolto solo con soluzioni sopranazionali.
Mancanza di visione e carenza di risposteIl Partito Democratico deve rifiutare l’attuale dibattito politico interno, meschino, miserabile, autoreferenziale e scollegato dalla realtà sociale ed economica di questo paese.
Deve prendere atto di aver avuto mancanza di visione e carenza di risposte. Deve incamminarsi sui sentieri che lo allontanano dal vociare vano e inconcludente, per ascoltare nel silenzio l’urlo profondo di questo paese e osservare un orizzonte più lontano. Deve cercare un nuovo percorso per la nostra comunità ed un futuro per la nostra civiltà.
Deve riaffermare questa semplice e incontrovertibile verità: che non possono essere i sistemi economici e la finanza mondiale a decidere la sorte delle nostre vite.
Non possono essere pochi e potenti ma invisibili manovratori a decretare la nostra serenità o angoscia, alzando o abbassando il pollice come gli imperatori dell’antica Roma.
Una società sana è quella che cresce tutta insieme, pur nelle differenze delle capacità individuali, del merito, della volontà e della tenacia, che devono sempre trovare la giusta valorizzazione e il giusto stimolo; è quella che coltiva il suo futuro tra tutte le nuove generazioni, e non solo tra quelle che godono di maggiori opportunità.
Il patto che ci lega
E il patto che ci lega è questo: che ciascuno abbia quel che vale in ragione delle sue capacità e abnegazione, ma che a tutti sia garantita protezione dalla forza soverchiante, fisica o economica, psicologica o morale. Che l’ingiustizia sia sanata, la frode punita e la condivisione e la crescita comune accudite e premiate.
Che chi è bravo avanzi nella scala sociale indipendentemente dal suo ceto e provenienza, e chi no arretri.
Laddove le regole del vivere comune non vengono fatte rispettare, si minano le fondamenta che consentono a tutti di stare insieme in armonia e si annaffia la malapianta del risentimento.
E nella terra dove vince la legge del più forte, i deboli sono destinati a soccombere.
La nostra ripartenza avviene da qui. Dalla consapevolezza del fatto che il sistema di organizzazione economica e sociale costituito dal capitalismo finanziario globalizzato abbia ormai già raggiunto e superato il suo massimo fulgore, e stia iniziando la sua lenta ma inesorabile parabola discendente.
Come gli antichi imperi, non crollerà all’improvviso, ma degenererà fino a quando non sarà trovato un sistema alternativo pronto a sostituirlo.
Garantire una maggiore tollerabilità economica e ambientale per tutti
Nel frattempo, non possiamo che ristabilire le linee prioritarie a cui esso deve essere riassoggettato, al fine di garantirne una maggiore tollerabilità economica e ambientale per il maggior numero possibile di esseri umani, e non solo per una ristretta cerchia di ottimati che posseggano da soli la metà delle ricchezze dell’intero pianeta.
Il buon funzionamento di un sistema consumistico prevede che i beni prodotti vengano acquistati dal maggior numero possibile di consumatori.
Ci deve sempre essere, quindi, un congruo numero di persone dotato della capacità di spesa necessaria ad acquisire nuovi beni o sostituire quelli obsoleti, consentendo alle imprese i profitti necessari al mantenimento o all’incremento dei volumi di produzione, del numero degli occupati, degli investimenti nella ricerca, e alla normale remunerazione del capitale investito.
In questa logica, il verificarsi di sempre maggiori concentrazioni di ricchezze in poche mani, nonché la maggiore attenzione ai redditi da capitale rispetto ai redditi da lavoro, vanno in direzione opposta rispetto allo scopo.
Ridare maggiori capacità di spesa ai ceti medi
La gravissima crisi congiunturale degli ultimi dieci anni dovrebbe averci insegnato che non potremo uscirne che tutti insieme; e che per ridare vitalità alla domanda interna e continentale di beni è necessario rifornire i ceti medi e medio bassi di adeguate capacità di spesa, in quanto dotati di una propensione al consumo più alta dei ceti benestanti e dei ricchissimi.
Avere adeguate capacità di spesa non significa solo avere più denaro a disposizione, ma anche una ragionevole sicurezza di potervi contare a lungo nel tempo.
Se il costo del lavoro è ormai soggetto alle rigidità imposte dalla globalizzazione, le uniche altre leve sui cui si può agire per favorire l’aumento delle disponibilità economiche verso i ceti medi sono la politica fiscale e una legislazione che favorisca i redditi da lavoro.
Se da una parte lo Stato dovrà impegnarsi seriamente a ridurre il peso delle tasse attraverso una sostanziale riduzione della spesa corrente e del debito pubblico, dall’altra si dovrà reimpostare un sistema fiscale che, manovrando sulla progressività delle aliquote, sui sistemi di detrazione, sulla tracciabilità dei pagamenti e sulle agevolazioni per fasce di reddito, produca una drastica inversione delle tendenze distributive, l’eliminazione sostanziale dell’evasione, una maggiore liquidità a disposizione dei molti che hanno più bisogno di spendere e maggiori risorse economiche da destinare ad investimenti strutturali capaci di stimolare la domanda interna e la ripresa complessiva.
Eliminare l'evasione col conflitto di interessi tra cliente e fornitore
La nostra evasione fiscale rende ormai intollerabili cifre di recupero ridicole, pur se crescenti rispetto al passato. Non sono accettabili 15-20 miliardi di recupero su 130 miliardi di evasione.
Se lo Stato non ha le forze per effettuare tutti i controlli, che le sue forze siano il popolo. Nell’era digitale, è assurdo non rendere conveniente al cittadino pagare elettronicamente e detrarre.
Consentendo un piccolo sconto all’acquirente, l’IVA pagata potrebbe essere girata direttamente all’erario anziché al fornitore tagliando alla radice il problema del recupero, e l’imponibile della fattura potrebbe essere messo in detrazione, magari con percentuali diverse a seconda delle fasce di reddito e di tipologia di fornitura.
Se col gioco degli sconti e detrazioni si recuperasse anche solo il 70% del totale evaso, sarebbero comunque 91 miliardi di euro utili a ridurre il debito pubblico e a un’adeguata politica di investimenti infrastrutturali.
E si farebbe una gigantesca operazione di redistribuzione dei redditi e di equità fiscale, oltre che di forte sostegno alla domanda interna. Mentre la Finanza potrebbe dedicarsi all’emersione del nero.
Parallelamente si dovrà orientare la legislazione sul lavoro in modo da produrre comportamenti virtuosi negli attori economici, favorendo e incentivando soluzioni che tutelino il lavoro stabile e maggiore occupazione, e che creino nuove forme di welfare di prossimità, dando spazio a nuovi lavori in sostituzione di quelli che vengono meno e diventano obsoleti.
Prendersi cura, per spegnere l'incendio
C’è un incendio che divampa in Europa. Alimentato da un forte vento di rabbia e rancore. L’unica acqua che potrà spegnerlo sarà prendersi cura delle persone.
Prendersi cura è l’unica forma per ricreare una comunità di luoghi e di prossimità, alternative alla comunità dell’odio e del rancore. Invece di lasciare manipolare le persone da chi soffia sul fuoco della paura e della rabbia, dobbiamo tornare a parlare loro con dolcezza e senza spocchia.
Guardandosi negli occhi, prendendo per mano chi è vinto dalla paura per accompagnarlo nella direzione della speranza.
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Giorgio Alessandrini, Ottobre 2018