Il MEF, Ministero dell’Economia e delle Finanze, pubblica periodicamente dati sulle entrate tributarie e sulle
dichiarazioni fiscali annuali. Ne ho analizzato gli
andamenti degli ultimi vent’anni e le dichiarazioni degli ultimi dieci.
Ne scaturisce un quadro di estrema iniquità e pessima distribuzione del carico fiscale che, anziché avere effetti
correttivi, produce un allargamento della forbice delle disuguaglianze economiche e sociali.
La reale distinzione tra contribuenti è questa: da una parte chi non può sfuggire alle maglie del fisco perché subisce
il prelievo tramite ritenuta alla fonte, e cioè i dipendenti e pensionati; dall’altra tutti quelli che dichiarano quanto
percepiscono in un sistema privo di un serio controllo.
Lo Stato, incapace di effettuare accertamenti che possano ristabilire un accettabile equilibrio del carico tra le diverse
tipologie di provenienza, ha lasciato aumentare negli ultimi vent’anni le entrate da IRPEF a carico dei ceti medi e
medio alti da lavoro dipendente e da pensione, confidando nella scarsa reattività degli stessi, assuefatti dalla
ritenuta alla fonte a ragionare sullo stipendio netto e alle spese che si possono permettere in base a questo.
Mentre dipendenti e pensionati non hanno vie di fuga, un intero universo di lavoratori autonomi, imprenditori e
imprese usufruisce di agevolazioni, regimi forfetari, bilanci addomesticati per pagare con aliquote più basse dei primi o addirittura per eludere o evadere.
I lavoratori autonomi in regime forfetario (ad oggi, quelli con ricavi fino a 65 mila euro) abbattono il reddito imponibile
attraverso costi presunti, calcolati con coefficienti di redditività prestabiliti in base al tipo di attività . Dalla cifra
ottenuta sottraggono i contributi obbligatori e sul rimanente pagano il 15% di imposta. I lavoratori dipendenti e pensionati, invece, si arrangino. La ritenuta sulla busta paga viene calcolata sul lordo e l’anno
dopo, detratte spese mediche e qualche altra voce, conguagliano in eccesso o in difetto. Tutte le altre spese sono e
restano a completo carico loro.
Risultato: con un reddito
imponibile di 40 mila euro il lavoratore dipendente, tolte le detrazioni per la
no-tax area, paga 9.640 euro di Irpef (aliquota 38%, percentuale reale 29%), il lavoratore autonomo 6.000 se non ha sottratto i
contributi obbligatori, altrimenti 4.160 (il 15%). Da 3.640 a 5.480 euro in
meno. Qualcuno vuole alzarsi a spiegare perché?
Peraltro, c’è da chiedersi come facciano 22 milioni di lavoratori dipendenti e 15 milioni di pensionati ad accettare
una simile iniquità e disparità di trattamento. Eppure, i conti fanno venire i brividi: il 79,3% dell’imposta netta IRPEF 2020 proviene dai redditi da lavoro
dipendente e da pensione. Le imposte da redditi da lavoro autonomo e di spettanza dell’imprenditore sono solo del
4,8% e del 3,8%. Nel
2020 ci sono 22,5 milioni di dichiarazioni per redditi da lavoro dipendente, 14,5
milioni da pensione e solo 461mila dichiarazioni per redditi da lavoro autonomo
(su 5 milioni di lavoratori autonomi).
È un sistema fiscale che genera stagnazione e depressione economica, perché depaupera la capacità di spesa delle
masse provocando la contrazione della domanda interna di beni e servizi, che rimane residuale per i soli contribuenti
con redditi più elevati. Ed è un sistema miope perché non sfrutta, attraverso la detraibilità delle spese digitali, la
possibilità di liberare risorse per la ripresa dei consumi, incassando alla fine più di quanto si perderebbe.
Effettuare una riforma fiscale basata sulla riduzione delle aliquote sventolando risparmi fiscali
ridicoli e offensivi sotto il naso dei contribuenti, sarà completamente inutile. Basti considerare che per 25 milioni di persone il
risparmio ottenuto non sarà sufficiente neanche a pagare una bolletta del gas.
Contrariamente al progetto di riforma in esame in parlamento, il numero delle aliquote IRPEF non va ridotto, bensì
maggiormente diversificato.
Concedendo la detraibilità fiscale dei pagamenti elettronici, il contribuente verrebbe stimolato ad effettuare spese
certificate che gli facciano abbassare anche solo leggermente il reddito imponibile, permettendogli di raggiungere
un’aliquota più bassa che gli consenta un risparmio di imposta.
La perdita di gettito IRPEF sarebbe compensata da vari elementi:
1. uno certo, dato dal 22% di incasso IVA (che verrebbe girata direttamente all’Erario dall’operazione POS,
lasciando al fornitore solo l’incasso netto) su spese che altrimenti non sarebbero state effettuate;
2. L’altro plausibile, ovvero la ineludibilità dell’incasso del netto da parte del fornitore; incasso che
concorrerebbe a formare il reddito di quest’ultimo e a recuperare gettito IRPEF da dove abbiamo visto che
non arriva;
3. Il conseguente aumento generale dei consumi supporterebbe l’economia e l’occupazione, con evidenti
benefici in termini di sostenibilità dei conti pubblici.
Naturalmente, per massimizzare la resa in termini di gettito alternativo, le spese di cui consentire la detraibilità sono
quelle a maggior tasso di evasione. Ma non solo. Si potrebbe ragionare su detraibilità limitate anche per generi e
servizi di largo consumo, allo scopo di stimolarne la domanda.
Lo Stato dovrebbe offrire in tempo reale al contribuente il proprio «Estratto Conto» fiscale, un vero
e proprio bilancio di esercizio che evidenzi il reddito imponibile maturato e l’elenco di tutte le spese detraibili fino a
quel momento sostenute, sottolineando l’eventuale passaggio a scaglioni con aliquote inferiori e il relativo
risparmio di imposta.
Indipendentemente dalla ripresa economica in corso, drogata dai finanziamenti europei per far fronte alla crisi
profonda provocata dalla pandemia, una riforma fiscale che contrasti la stagnazione dei consumi si può basare solo
sulla possibilità per ogni contribuente di barattare l’acquisto di beni e servizi con un risparmio di imposta
raggiungibile. Le nuove aliquote, quindi, non devono solo abbassare le tasse ai redditi medio bassi e alzarle a quelli
altissimi, ma devono consentire al contribuente di pianificare le sue spese annuali per raggiungere un’aliquota
inferiore.
Con le detrazioni si farebbe una
gigantesca operazione di recupero dell'evasione e di redistribuzione dei redditi, oltre che di forte sostegno alla domanda
interna. Mentre la Finanza potrebbe dedicarsi all’emersione del nero.
Se il Partito Democratico non si mostrerà in grado di prendere decisamente posizione contro questa situazione
insostenibile, dimostrerà di non essere utile alla difesa dell’equità e della giustizia e si condannerà a battaglie di
posizione che ne decreteranno la definitiva marginalità .
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Giorgio Alessandrini, 22 dicembre 2021
Dati MEF aggiornati a dicembre 2023