Uno scalatore si riconosce dalle mani. Le dita sono lunghe e robuste, per l’abitudine a reggere il peso del corpo. Le ultime falangi, in corrispondenza delle unghie, sono larghe e appiattite, perché per tenere un appiglio si fermano con il pollice e il peso. La pelle dei polpastrelli è ispessita e callosa, per sopportare le rocce ruvide e taglienti, o le fessure strette e verticali.
Le mani confermano le altre peculiarità di chi arrampica sulle vette. Lo sguardo attento verso chi parla. Il sorriso educato e disponibile. Un riservato silenzio che nasconde un distacco dalle cose che interessano al mondo. Come se la sua anima fosse altrove.
Più lo senti rispondere a tono nella conversazione, o scherzare in modo socievole e spiritoso, e più ti accorgi che la sua presenza non è tutta lì in quel momento.
Viene da lontano. Da luoghi per lo più inaccessibili all’uomo comune. Dall’immenso e dal terrificante. Dai panorami sconfinati delle cime e del cuore. Dai precipizi senza fondo delle pareti e dell’anima. Là , dove i passi lenti di avvicinamento alla parete, il silenzio, il rumore del vento e dei rinvii che urtano la roccia misurano chi sei.
Quando guardi uno scalatore negli occhi, se ne sei capace, puoi vedere dove è stato.
20 aprile 2019