Nella città ferma per l’epidemia, il rumore di fondo era scomparso. Le
orecchie si riabituavano al silenzio, e dai balconi soleggiati si
iniziavano a percepire suoni insoliti e distanti. Il pianto di un
bambino nel caseggiato di fronte. I latrati di un cane in attesa del
padrone. In lontananza, le sirene rammentavano in ogni momento
l’emergenza. In quei giorni surreali, tutti erano stati chiamati a
rinunciare alla socialità quotidiana. Quella dei luoghi di lavoro, di
svago e ritrovo; degli interessi comuni e delle arti. A differenza dei
distacchi temporanei e scelti, però, dopo qualche giorno l’imposizione
aveva iniziato a gravare nei cuori.
Nelle grandi metropoli la cerchia
delle conoscenze si annacquava in una marea di sconosciuti, ma in un
piccolo centro urbano i decessi colpivano persone conosciute e
frequentate, alimentando in ciascuno la costernazione per la loro
repentina scomparsa e la contemporanea preoccupazione per quanto la
morte li lambisse.
Quel silenzio irreale gli stava ponendo da giorni
domande a cui non aveva voluto rispondere, ma che premevano sempre di
più nel suo animo. Le aveva frettolosamente rinchiuse in un ripostiglio
della mente, riorganizzando insieme a lei i nuovi tempi di quelle
insolite giornate, riempite di una tranquilla quotidianità che potesse
mascherare l’incertezza per il futuro.
Sui giornali, le descrizioni del
poco tempo lasciato dal virus accrescevano lo sgomento e riaprivano quel
ripostiglio da cui le domande inespresse si riaffacciavano alla sua
mente. Stava facendo i pensieri giusti? Oppure il momento richiedeva
riflessioni eccezionali? E se la sorte non gli avesse concesso ancora
molto, non si sarebbe forse pentito di non essere riuscito a fare o a
dire quello che c’era di più vero in lui?
Allungato sul divano, sollevò lo sguardo dal libro e disse: “Ci sono parole che
mi hai detto che io non scorderò mai”. Lei, che era stesa sul suo busto a
leggere, si sedette a guardarlo. Capì che non era una conversazione
qualsiasi e, dopo qualche istante, chiese solo: “Quali?”. Non rispose.
La fissava negli occhi, ma le stava guardando il cuore. Lei lo sentì, e
ne fu rapita. Lui continuò: “Anni fa, la mia anima si è rispecchiata nei
tuoi occhi sorridenti e compiaciuti del nostro amore. Da quei giorni,
ancora vividi in me, io so chi sono e conosco il mio significato nel
mondo. Del tuo sorriso amorevole e della tua voce calda e rasserenante,
mi sono abbeverato e nutrito. Sei in ogni mio pensiero. In ogni cosa che
faccio. In ogni luogo in cui vado. Sei il mio vascello e le sue vele,
il timone che non abbandonerò fino alla fine, ovunque mi portasse.”.
Lei non distolse gli occhi neanche per un istante, e lui li guardò per
tutto il tempo. Erano un po’ lucidi e commossi, ma accesi del bagliore
di quando si erano incontrati. Gli accarezzò il viso, con passione. Poi
si riaccucciò sul suo petto e disse: “Andrà tutto bene.”.
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Giorgio, 15 marzo 2020.
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