Due panche e un tavolo di legno sotto gli alberi accanto ad un piccolo cimitero sulle colline, tra i latrati di un cane lontano e il frinire delle cicale.
Vi passava ore scrivendo freneticamente su un quaderno a righe. Le parole di dolore per un distacco eruttavano copiosamente un magma liquido e incandescente che gli incendiava l’anima e bruciava tutto quel che c’era intorno, creando una desolante desertificazione degli occhi e del cuore.
Così gli era sembrata la vita finora: un percorso rigoglioso e fecondo di gioia e amore, di sogni, progetti. Una strada che avrebbe condotto serenamente alla maturità.
Ma non era questa la strada per lui.
Là, sotto quegli alberi, descriveva l’inaccettabile fine dei sogni e delle speranze. Lo smarrimento e la devastazione. La rabbia e il dolore.
Non vedeva nulla all’orizzonte, e credeva che così sarebbe stato per il resto dei suoi giorni, e che il bruciare dell’anima l’avrebbe accompagnato fino alla fine.
Osservava quel magma che ora ricopriva il mondo intorno a lui, solidificandosi in un paesaggio cupo e spettrale.
Nulla sapeva di quanto fosse fertile e fecondo, di come lo avrebbe cambiato e fatto risorgere. Di come avrebbe reso la vita così diversa da quella che aveva creduto la sua, ma immensamente più intensa e vivida.
E invece avrebbe dovuto immaginarlo, dalla quantità di pagine che scriveva senza accorgersene.
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Giorgio Alessandrini, 4 settembre 2021