Cohen non mi ha rapito, né coinvolto, né commosso. Lo stile narrativo è prolisso. La minuziosa ed esasperante descrizione dei particolari non aggiunge nulla alla miserevole natura dei personaggi maschili.
Il commento sulla copertina lo definisce una storia d’amore, ma non userei questa parola per definire le relazioni tra i tre principali protagonisti. Sicuramente non lo è quello degli uomini. Piccoli, meschini, miserabili. Brutti, come tutti gli uomini che non si sono interiormente arricchiti attraverso la devastazione per il dolore di una perdita.
Lo è almeno quello di lei? A me sembra di no. Sbilanciato verso la devozione, incline al narcisismo e all’autocompiacimento. All’apparenza sufficiente a sé stesso, si perde alla prova della quotidianità , perché slegato dal necessario collegamento con la consapevolezza di sé stessi.
Per quanto triste, manca il sublime, e quello che trasmette è una storia banale, ammantata da un falso senso di assoluto che finisce col perdere i protagonisti, che infatti si allontanano dalla realtà fino all’estremo.
Leggendolo, anziché divorarlo come mi è capitato con tanti altri, sono stato accompagnato dalla sensazione del deja vù, a cui mancava la tensione non tanto alla perfezione, che non esiste, quanto alla ricerca del bene.
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Giorgio Alessandrini, 20 febbraio 2014