Nonostante qualche residua resistenza di alcuni paesi europei, giustamente ridefiniti più “avari e miopi” che “frugali”, e le scomposte dichiarazioni di sovranisti esteri che evidenziano l’assurdità delle posizioni basate sul “prima io”, col Recovery Fund sembra essersi consolidata la scelta europea di ricorrere a massicce politiche di investimenti per riavviare l’economia continentale, pesantemente colpita dalla pandemia e da decenni di politiche rigoriste.
Diventa per noi pressante l’urgenza di dotarci di una visione strategica in grado di destinare le risorse assegnate ad investimenti in grado di moltiplicare e perpetuare il più a lungo possibile gli effetti benefici dello sforzo economico. Il Paese deve mostrarsi capace di sfruttare questa occasione unica, creando le condizioni affinché negli anni a venire il sistema infrastrutturale consenta l’avvicendarsi di nuove imprese in sostituzione delle vecchie, mantenendo alti i livelli occupazionali e migliorando la qualità e la professionalità del lavoro.
Molte parole chiave su cui reimpostare tale visione sono già sul tavolo da tempo. Ambiente, economia verde, risparmio energetico, fonti di approvvigionamento. Cultura, scuola, istruzione, corpo docente. Sistema fiscale, evasione, spesa pubblica, spesa corrente, sistemi di welfare. Sistema politico ed elettorale, forme della democrazia, del potere e del suo controllo, pubblica amministrazione, burocrazia. Aggiungerei anche forme del capitalismo e del libero mercato, distorsioni della globalizzazione, allargamento delle disuguaglianze e concentrazione delle ricchezze. Dotarsi di una visione significa armonizzare il funzionamento di questi sistemi complessi in modo che procedano orientati verso un unico orizzonte.
L’orizzonte, però, bisogna sceglierlo. E il dibattito politico dovrebbe vertere su questo. I confronti pubblici dovrebbero essere orientati ad una condivisione della meta. E ad una sintesi sulle modalità con cui arrivarci, rispetto alle quali è lecito che la politica offra opzioni diverse, e che un elettorato informato e consapevole scelga quelle che ritiene più affidabili per avvicinarvisi.
Non possiamo più permetterci una politica in cui ciascuno si muove a caso. Né un sistema informativo che la incita a dare il peggio di sé, perpetuando slogan senza significato alla ricerca del consenso immediato.
E sicuramente non possiamo permetterci che gli ingentissimi fondi di cui potremmo essere beneficiari siano oggetto di un assalto alla diligenza in cui ciascuno cerca un trofeo da offrire al proprio elettorato.
Già se ne vedono le avvisaglie.
Uno slogan di questi giorni è che i fondi devono essere destinati ad “abbassare le tasse”. Affermazione di per sé auspicabile da tutti, ma che necessita di qualche approfondimento, perché modi diversi producono risultati diversi. Per esempio, un sistema potrebbe essere quello di abbassare le aliquote a parità di reddito imponibile: avrebbe l’effetto di far pagare meno a ciascuno, ma non quello di scovare forme di elusione e di evasione, che rimarrebbero pressoché inalterate. Un altro sistema, invece, è quello di lasciare inalterate le aliquote, ma di abbassare il reddito imponibile consentendo la detraibilità delle spese pagate elettronicamente: in questo caso le tasse pagate sarebbero comunque più basse, ma al contempo avremmo stimolato la domanda di beni e servizi, fatto emergere mancate fatturazioni e lavoro nero, con conseguente recupero di gettito iva e da lavoro.
Nella tabella in fotografia, elaborata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, si vede la ripartizione del reddito e dell’imposta IRPEF dell’anno 2017. Da tale tabella si evince che l’ 85% del gettito proviene dal lavoro dipendente a dalle pensioni, e il lavoro autonomo non arriva al 5%. Siamo proprio sicuri che in un sistema a detraibilità delle spese elettroniche le proporzioni sarebbero le stesse?
Nella sola fascia dei lavoratori dipendenti, le classi di reddito cha vanno da 12.000 a 80.0000 euro annui (il ceto medio e medio-alto, pari al 67% dei lavoratori dipendenti) pagano 100 miliardi di euro di imposta lorda, pari al 75% del totale versato (132 miliardi). Su un totale di 218 miliardi di imposta lorda, 158 miliardi (72,5%) provengono da lavoratori dipendenti e pensionati con classi di reddito tra 12.000 e 80.000 euro annui.
Dite che abbiamo davvero bisogno della flat tax, o forse ci conviene non fare incazzare ancora di più chi paga le tasse regalando soldi a chi non ne paga abbastanza?
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Giorgio Alessandrini, 1 giugno 2020