La nuova coalizione di governo tra M5S e PD nata dopo il clamoroso errore tattico di Salvini potrebbe non avere vita facile, ma potrebbe anche rivelarsi un’opportunità. Molto dipenderà dall’intelligenza e dalla capacità di visione dei loro leaders. È vero: siamo abituati a scontri, più che a confronti di idee. A dichiarazioni che travalicano la contrapposizione politica e sconfinano nell’insulto gratuito.
La storia la conosciamo. Le rigidità, il conservatorismo, il distacco dalla realtà, l’incapacità di rinnovamento del PD all’inizio del decennio hanno favorito e alimentato la nascita del movimento di protesta creato dal comico Grillo. Privi di una reale visione del Paese, i grillini hanno caratterizzato la loro identità attraverso la veemente affermazione della loro diversità e cavalcando la rabbia e il senso d’impotenza delle classi più colpite dalla crisi economica.
La loro credibilità fu la stessa dell’ “Uomo Qualunque” degli anni ‘40: la novità, le parole semplici, la assoluta mancanza di collusione col potere, la totale inesperienza politica spacciate come garanzia di onestà e capacità di restare fedeli alle origini.
Naturalmente il tempo e la dura realtà di governo dissolveranno queste ingenuità sia nei protagonisti che nei loro elettori. Ma a nulla vale avvisarli, soprattutto se si proviene da campi avversi. Sarà un naturale processo di maturazione. Se sapranno percorrerlo, forse non faranno la fine del partito di Giannini. Lo vedremo.
Per il momento resta un movimento con una solida maggioranza relativa alle ultime elezioni politiche che, dopo aver rischiato di vedere fagocitato il suo consenso da una tragica alleanza col populismo di destra, ora deve decidere cosa vorrà essere in futuro. Potranno scegliere ancora una politica piccola e da bar, limitandosi allo stillicidio delle diatribe miserabili tra componenti del governo per una stupida guerra di trincea. E allora sarà il loro disastro.
Oppure potranno optare per la crescita e la maturazione, prendendo consapevolezza della propria dimensione ma anche della estrema fragilità, e tentare di occupare il centro della scena politica. Facendo ciò, toglierebbero spazio a eventuali residui individualismi di qualche esponente del PD che pensasse ancora che un partito sia un mezzo per l’affermazione di sé stessi e non una di comunità di valori. Presidierebbero l’agognata area moderata degli inesistenti eredi di Berlusconi. Avrebbero inoltre il vantaggio, e il merito, di relegare la destra al suo naturale e fisiologico ridimensionamento.
Infine, spronerebbero il centrosinistra ad accelerare e completare quel rinnovamento di idee e uomini che non sarebbe mai avvenuto in loro assenza.
Da parte sua, il Partito Democratico potrà essere efficace in questa coalizione solo se assumerà un profilo riformista e con una visione di lunga durata. Per farlo, dovrà sforzarsi di cambiare anche sé stesso. Tornando presente e protagonista sul territorio. Sfruttando le nuove tecnologie per favorire la comunicazione e la libera circolazione delle idee al suo interno. Valorizzando le persone capaci e le idee innovative. Modificando le sue regole statutarie a vantaggio della partecipazione di tutti e a discapito dell’immobilismo e degli arroccamenti di potere.
Uno sforzo che può essere compiuto solo avendo consapevolezza delle sfide che abbiamo di fronte, per vincere le quali c’è bisogno delle energie di tutti.
14 settembre 2019